Per prima cosa, scegli tra...

Le ragioni della narrazione a scuola

Riporto di seguito, con qualche riduzione e senza note, uno stralcio di un mio articolo di prossima uscita.

(...)La domanda centrale è: che cosa succede, se iniziamo a pensare, per davvero, che tutto sia racconto? La prima cosa da fare è sfuggire al sospetto del “regresso infinito” : sostenere che tutto è racconto non significa dire che nulla accade, nel mondo, e che tutto è frutto della fantasia narrativa degli uomini. In altre parole, non si sostiene affatto che la narrazione di un fatto sia narrazione di una narrazione, che a sua volta si riferisce a un fatto che, poiché tutto è narrazione, è anch’esso una narrazione ecc. Piuttosto, si vuol dire che per interpretare la propria vita, i bambini così come gli adulti hanno bisogno di ricondurli a una personale sfera narrativa; e solo in essa ciò che di nuovo accade entra in dialogo con il repertorio di conoscenze a disposizione della propria cultura, e del patrimonio individuale di credenze e conoscenze. Detto altrimenti, si ottiene una convincente costruzione di senso solo quando riusciamo a porre il nuovo in relazione con ciò che il mondo ci ha già insegnato, o, se si vuole, ci ha già raccontato. E, insomma, comprendiamo la vita quando essa ci viene raccontata e quando noi stessi ce la raccontiamo.
E per ciò che riguarda gli aspetti educativi? Se tutto è racconto, discutere insieme una narrazione, a scuola, significa perlopiù ricalcare l’atteggiamento che ognuno di noi ha verso i racconti che lo interessano, nella vita di ogni giorno. Si cerca di sapere come sono andate le cose, prima di tutto. E poi si soppesano le parole, si carpiscono, finché si può, le sfumature di ciò che ci viene raccontato. E, inevitabilmente, si finisce col divagare: col dare opinioni. Si assume un piglio naturalmente commentantivo e persino argomentativo, quando si esprime la propria idea, intorno a un fatto raccontato (che ci interessa).
Se tutto è racconto, un corso di formazione sulla narrazione sarà al tempo stesso un corso sul libro, sull’oralità e sulla lettura. In altre parole, inevitabilmente, sarà un invito a costruire laboratori di voci che discutono intorno al testo. Cosicché il lavoro sulla narrazione sarà anche lavoro sulla parola che commenta e che indaga il plausibile e l’implausibile, le ragioni della narrazione stessa.
Laboratorio linguistico sulla narrazione significa dunque palestra di conversazione e interpretazione: ma, sempre e comunque, esercizio di dialogo intorno al testo. E ogni percorso di ricerca che seriamente abbia indagato questi itinerari lo testimonia: la dimensione della conversazione, per quanto analitica, o divagante, o persino idiosincratica, è legata a un “a partire da…” cui ogni commento è intimamente connesso. Così i lavori più convincenti sulla lettura , dal punto di vista didattico, sono sempre anche lavori sul testo: partendo da brevissime poesie sulla cui forma linguistica è lecito interrogarsi per tempi anche molto lunghi (si pensi a Rodari, Scialoja, Munari), per arrivare all’immediata complessità di un Piccolo principe o di altri classici, il lavoro del leggere, e del dire intorno al testo, è sempre, prima di ogni altra cosa, un rigoroso lavoro sul testo.
D’altra parte non si può non considerare l’inscindibile legame tra sapere del lettore, che si misura con la narrazione, vera o verosimile che essa sia, e la capacità (e necessità) critica e interpretativa di quello stesso lettore, che cercando nel testo trova le risposte alle sue domande personalissime. Su questo sono stati scritti molti saggi, e anche molte sceneggiature cinematografiche. Sull’interrogare i libri: ovvero sul modo in cui la verità del vivere quotidiano chiede aiuto alla finizione della pagina per farsi più salda e persino più vera. E sul modo in cui inevitabilmente le parole del testo trascinano le nostre parole. È ciò che accade tutte le volte che la narrazione diventa per gli adulti, come per i bambini, apprendistato esistenziale. Ed è appena il caso di ricordare che la storia della letteratura è piena di eroi che testimoniano quanto la narrazione letteraria sia, e radicalmente, magistra vitae: da Paolo e Francesca, a Don Chisciotte e Madame Bovary.(...)

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